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E’ TUTTA UN ALTRA MUSICA

Igor Zanti

 

“Nessuna cosa è per se stessa una sola; tu non puoi, correttamente, dar nome a una cosa né a una sua qualità; se tu, per esempio, chiami alcuna cosa grande, ecco che essa potrà apparire anche piccola; se la chiami pesante, potrà apparire anche leggera; e così via per tutto il resto, perché niente è uno, né sostanza, né qualità. Dal mutar luogo, dal muoversi, dal mescolarsi delle cose fra loro, tutto diviene ciò che noi, adoprando una espressione non corretta, diciamo che è…”

Platone

 

TESI:

Andrea  Cantieri è un musicista-su questo non c’è dubbio- però è anche un  pittore.

La necessità di semplificazione, di incasellamento, ci pone di fronte al quesito (ma è veramente necessario?) se Andrea Cantieri sia più pittore o più musicista.

E’ straniante, scoraggiante, spiazzante, confrontarsi con personalità poliedriche. Lo era tanto per  Ulisse, che il vecchio Omero amava definire polutropos (versatile) o polumekanos (dalle molte risorse), quanto lo è  per Leonardo da Vinci, che dai più è  giudicato solo un  artista ma, in realtà, è molto altro. L’essere polutropos ci fa paura, non è rassicurante e, forse, non è giusto, perché una sottile invidia ci fa trovare iniquo che nella vita si abbiano molti talenti, molti modi di essere.

Andrea Cantieri deve scegliere: o è un pittore o è un musicista, non può farsi beffe di noi spostandosi con agilità dal pentagramma alla tela, non può e non deve sconfinare nell’indeterminatezza del genere, per fare confusione tra i nostri cassettini ordinati dove lo abbiamo posto.

Se faccio una ricerca tematica nel data base del mio cervello voglio trovare Andrea Cantieri in una casella precisa, non mi piace, anzi, mi sconcerta, che al suo nome siano riferiti collegamenti ipertestuali che vanno dalla musica all’arte, così, senza pudore alcuno per chi di talenti ne ha uno solo e, forse, neanche quello.

 

 

ANTITESI

Andrea Cantieri è un pittore, e che sia un musicista poco importa, o meglio, è un dato rilevante qualora volessimo ascoltare della buona musica, ma può essere insignificante se vogliamo vedere una bella mostra pittura.

Ammettiamolo, Andrea  Cantieri è poliedrico, e non sarebbe lui se non fosse, al tempo stesso,  pittore o musicista, riuscendo  a muoversi agilmente in vari campi, dando sempre il meglio.

Nella pittura di Cantieri c’è la musica, ma tralasciando triti e ritriti paragoni metaforici di ritmo, colore, solfeggio cromatico, e corbellerie di altro genere, la musica entra nella sua pittura solo  come elemento iconografico.

Saremmo comunque superficiali e poco attenti a quello che avviene  intorno a noi,  se non tenessimo conto che il vero contemporaneo è rappresentato dalle contaminazioni.

La creatività contemporanea è fluida, passa con agilità da un  palco di un concerto rock  alle sale di   un museo,  e nessuno si sorprende più se vede- come è successo pochi anni fa- uno dei massimi artisti  italiani impegnato in una perfomance con accompagnamento al piano da una delle più importanti  pop star mondiali  e coreografia  di un prestigioso corpo di ballo rivestito, dalla testa ai piedi,  da una famosa casa di moda.

Melting pot è la parola d’ordine del futuro, e se il melting pot , uno come Andrea Cantieri, se lo fa in casa propria, tanto meglio per lui e tanto peggio per noi, che vogliamo per forza imprigionarlo nelle anguste e rassicuranti pastoie di una definizione di comodo .

 

SINTESI

Andrea Cantieri dipinge, o meglio, si dedica, anima e corpo, a quella particolare disciplina della pittura che è la ritrattistica.

Nel bene e nel male, il ritratto, come genere, è uscito indenne dalle turbolenze delle avanguardie, del concettuale, del post concettuale e gode ottima salute. Lucian Freud docet, anzi, docebat…

Forse, dall’avvento della fotografia in poi, il ritratto ha perso il suo principale scopo, cioè quello di rappresentare e tramandare alla memoria dei posteri i tratti somatici di qualcuno ma, di contro,  si è arricchito di implicazioni psicologiche molto forti:  non si ritraggono più i lineamenti di qualcuno, si preferisce dare spazio ai moti dell’anima o al valore iconico.

Questa tendenza era già presente nel passato: i grandi ritrattisti, da Antonello da Messina a Goya,  erano già interessati a questo tipo di ricerca che è diventata, con l’avvento della fotografica, come si è detto, la vera anima di questo peculiare genere.

Sarebbe troppo semplice, dopo una superficiale osservazione, relegare, da un punto di vista critico, le opere di Andrea Cantieri nella dimensione di una pittura che fonda le proprie radici nel pop classico e  trova nuovo vigore in quel magmatico calderone di stili e tendenze che, per convenzione, viene definito neopop.

Sebbene di neopop si possa parlare e, forse, si debba parlare, per una vicinanza di gusti, per un sentire comune, il discorso risulta essere più complesso, in quanto l’eredità pop e l’influsso neopop vengono filtrati in modo inconsueto.

Credo, infatti, che l’utilizzo del ritratto da parte di Cantieri non abbia tanto l’intento di celebrare il valore mediatico dell’icona contemporanea, non ci troviamo di fronte a immagini che sopportano e tramandano l’eredità  delle Marilyn o dei Mao di Wharol, ma piuttosto, sono dei frammenti di un racconto autobiografico, sono zibaldoni pittorici, dove la stessa scelta iconografica è dettata da un ricerca interiore dell’artista.

Il ritratto, in questo senso, diviene autoritratto, diviene cartografia dell’anima e dell’immaginario dell’artista, che appare sempre e comunque in dissolvenza dietro ai personaggi che rappresenta.

La scelta di utilizzare materiali di recupero che si alternano, come supporto, alla più consuete tele, e di intervenire con un gesto pittorico aggressivo, veloce, dove una furiosa immediatezza fa mostra di sé, tradisce una sorta di tormento, di furia nervosa ed erotica, che difficilmente si trova in opere di questo genere.

Un’ ulteriore riflessione induce l’utilizzo, in alcuni casi, di serrande dismesse. Elementi nati per difendere la propria intimità, per proteggere dal sole e, come dice lo stesso Cantieri, per osservare di nascosto il mondo e la vita che scorre sotto le nostre finestre, si arricchiscono sulla loro legnosa superficie di  personaggi che abitano nella penombra e nella riservatezza delle stanze della mente del nostro artista, che appaiono allo scoperto, si dichiarano e non si celano più.

L’utilizzo della luce diviene importante, per non dire fondamentale; una luce che è sempre e comunque presente nella sua apparente assenza, una luce che è nel dna così mediterraneo di Andrea, quella luce forte, intensa ed abbagliante che fa dolere lo sguardo e non permette di mettere a fuoco correttamente gli oggetti, quella luce che si infrange sul reticolato delle serrande e dei pancali per evidenziare il pulviscolo. per trovare nuova forma in una sostanza interrotta ritmicamente. Ed è proprio da questa luce che sembrano emergere, eroici, i volti di Cantieri, volti che hanno nomi e cognomi ma che sono, come si è visto, reiterati tentativi di autorappresentazione.

Anche il ready made è un tentativo di narrazione autobiografica: la scelta dei materiali, l’utilizzo di gusto vagamente dada del collage, che sa di adolescenza, di diario segreto, serve sostanzialmente a narrare qualcosa di sé.

Il dato  che sorprende maggiormente è la sensazione che, per quanto tenti di parlare di sé, tenti di mostrarsi, Cantieri cerchi, al tempo stesso, di nascondersi, cerchi di dare più risposte possibili, per scongiurare ulteriori domande.

Vi è un qualcosa  di enigmatico che si cela dietro il lavoro di Andrea,  in bilico tra  un controllato desiderio di raccontarsi e il  pudore che scaturisce dalla sensazione di essersi eccessivamente esposto.

Il dipingere, che è impulso e necessità espressiva intrinseca e indomabile, induce irrimediabilmente anche a mostrarsi e sembra quasi spaventare Cantieri, che delega a sguardi ed espressioni altrui il peso di divenire di pubblico dominio.

Lasciamoci, infine, accompagnare da Cantieri nel suo peregrinare dentro e fuori di sé, concediamogli le incertezze e i tentennamenti  che il suo pudore impone, rispettiamo la sua intimità che si sforza di violare, diamogli un nome e una definizione, se questo ci rassicura, ma non mettiamo mai fine al suo canto, perché questo sarebbe un errore e ci priverebbe dall’avere il nostro complesso, controverso ed eroico artista, il nostro Ulisse dalle mille risorse.

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