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All’INSEGNA DELLA BLUE NOTE

 

Carmelo Strano 

 

Un cantiere aperto. Solo allo sguardo superficiale può risultare un sistema espressivo chiuso. Non mi riferisco, certo, alla tematica che non determina, come è ben noto, i connotati dell’opera. La tematica insiste sui personaggi della musica, segnatamente jazz. E pour cause. Andrea Cantieri col jazz ha un rapporto professionale, oltre che passionale. Non meno passionale e professionale il suo impegno nell’arte. E’ un bisex dell’espressività. Trova i luoghi dove far agire le proprie pulsioni in ambiti diversi ma che hanno un comune denominatore: il linguaggio. Che se fosse esito spontaneo ed eminentemente gestuale non avrebbe la rilevanza che invece il lettore coglie agevolmente. Infatti, qualifico subito questo linguaggio come consapevole. Quel fraseggio  lo voglio così, anche se dall’autore è stato scritto diversamente (interpretazione musicale); la tromba deve essere quasi inespressa al fine di rendere più incisivi (ma non necessariamente più espliciti) i tratti-pennello che alludono al viso di John Coltrane. Alla luce di ciò, questo comune denominatore diventa illuminante, ossia ciascuno dei due ambiti (musica e pittura) illumina l’altro. E la pulsione punta dritto al segno connotativo: con la stessa carica sentimentale e inventiva, ma con l’opportuna divaricazione al livello del linguaggio. Io posso essere pur sempre Jackson Pollock (lo stesso modo di essere e di offrirmi) sia che guidi la colatura del “dripping”, sia che mi dedichi a una ricetta culinaria. Ingredienti diversi e combine diversi. Ma identico “sapore” estetico.  In ogni caso, se, come è opportuno, insistiamo sul ragionamento semiologico, mirato a cogliere il segno espressivo, l’analogia di segno spicca subito sul terreno del ritmo. Sin dall’età studentesca, mi porto appresso la lezione di un singolare personaggio-amico, Silvio Ceccato (figura pionieristica da recuperare nella sua stimolante interezza). Puoi capire in profondità ogni cosa, basta che riesca tu a cogliere il suo ritmo. Tant’è che la correlazione è facile con riferimento a tutti gli aspetti della vita, dalla fisiologia ai comportamenti alla creatività. Cantieri è jazzista quando suona e anche quando dipinge. Ma, come si diceva, ciò vale con riferimento non alla tematica, bensì al segno e al suo ritmo. La vita del segno espressivo nella pittura di Cantieri è nomade e libera e mutevole a causa di una spinta di fondo che è gestuale. Si considerino i dipinti “Prendere tempo al tempo” e “Appartenenze”. Ma solo spinta di fondo. Ci sono momenti in cui si ha addirittura l’impressione che le forme che tendono ad alludere, e che pertanto in sè sono da definire astratte, siano calibrate come fossimo (ma c’è da pensare che questo a Cantieri accade in modo inconsapevole) nel clima dell’italiano MAC (Movimento Arte Concreta) un protagonista del quale, Gillo Dorfles, quest’anno ha festeggiato un secolo tondo tondo.  L’allentamento. Ma ancora meglio: il controllo della gestualità si evidenzia anche con l’inserzione di brani di carta stampata (recupero del papier collé) spesso riferiti ai musicisti. Il lettrismo-concetto frena l’impeto, ammesso che questo abbia carta bianca. Vita di macchie. Vita organizzata (da organismo), contrappuntata da svirgolate monocrome. Il ritmo? Fortemente sincopato, ansimante, swingato. E non manca la “blue note”, l’accento della malinconia, dell’intimità, accento così poco occidentale, sul piano linguistico, per il suo oltrepassa mento della dicotomia maggiore-minore, per il suo “abbassarsi” di un quasi-semitono in virtù di un sistema armonico “non temperato”. Addirittura un clima diffuso di blue note, ben oltre il “topos” espressivo. Non a caso Cantieri col blu gioca di cromatismo, individuando diversi registri. Registri non casuali ma che rispondono a stati d’animo. Significativi alcuni titoli dati da Cantieri ai suoi dipinti: “Teatro vuoto della mente mia”, “Esistenza banale”, “Tutti quanti abbiamo un’ombra”. Si capisce bene che il musicista ritrattato viene “sfruttato” all’insegna quasi della simbologia boccioniana di “Quelli che vanno” e “Quelli che vengono”. L’artista futurista pare faccia capolino nel modo in cui Cantieri orchestra (efficace direttore di scene musicali, potremmo dire) le sue forme accerchianti e allo stesso tempo centrifughe. Dinamicizza queste forme, talvolta con memoria anche di A. G. Bragaglia. Specie in quello che direi il periodo della “scavo”. A partire dal 2007 Cantieri non studia più le forme, da allora le domina, le piega al suo “mood”, alla sua “blue note” del momento, ma dando la sostanza, o la struttura, di un’entità che oltrepassa il senso del contingente. Senza tradire il suo cantiere aperto.

UNDER THE SIGN OF THE BLUE NOTE

Carmelo Strano

An open yard. An expressive system which might seem closed only to a superficial glance. I’m not referring, of course, to the themes, because – as well-known – they don’t determine the connotative features of the work. The themes insist on the characters of the music, specifically jazz. Et poor cause[1]. Andrea Cantieri has got a professional, as well as passionate, relationship with jazz. No less passionate and professional his concern in the figurative art.. He’s a bisexual of expressivity. He finds the right places where letting his own pulsions act in fields different, yes, but with a common denominator: the language. Because if it were a spontaneous and mainly gestural result it wouldn’t have the same relevance that the reader, instead, senses easily. That’s why I immediately qualify this language as conscious. That phrasing, I want it quite so, even if it was written differently by its author (musical interpretation); the trumpet must be almost unexpressed, so to make more incisive (but not necessarily more explicit) the brush-strokes alluding to John Coltrane’s face. That being so, this common denominator becomes enlightening, that is each of the two fields (music and painting) enlightens the other. And the pulsion points straight to the connotative sign: with the same sentimental and creative charge, but with the proper separation at the language level. I can be still Jackson Pollock, after all (the same way of being and offering myself), both while I’m guiding the “dripping” and while I’m busy with a culinary recipe. Different ingredients and different combines. But an identical aesthetic “taste”. In any case, if – as it’s advisable – we insist on the semiological reasoning, aimed to catch the expressive sign, the analogy at the sign’s level stands immediately out on the ground of the rhythm. Since when I was a student, I’ve been taking with me the lesson of a special character-friend, Silvio Ceccato (a pioneering figure to recover in its stimulating totality). You can realize everything in depth, you only need to catch its rhythm. In fact the correlation is easy when it refers to all the aspects of life, from physiology to behaviors and creativity. Cantieri is a jazz musician when he plays and when he paints, too. How we were saying, though, this is valuable with reference not to the themes, but to the sign and its rhythm. The expressive sign life in Cantieri’s painting is nomadic and free and changeable due to a substantial, gestural push. Let’s take into consideration the paintings called “Prendere tempo al tempo”[2] and “Appartenenze”[3].Only an underlying push. There are moments when one has even the impression that the forms tending to hint at, and which must be therefore defined abstract, are calibrated (but one can also think that this happens to Cantieri unconsciously) as if we were in the Italian climate of MAC (Movimento Arte Concreta)[4], one of whose main characters, Gillo Dorfles, celebrated this year a full century. The loosening. And still better: the gestures control emphasizes itself also with the insertion of printout paper pieces (reutilization of papier collè) often referred to musicians. The lettrism-concept restrains the impulse, supposing that this has carte blanche. Life of spots. Life organized (from organism), counterpointed by monochrome paint-strokes. The rhythm? Heavily syncopated, panting, swing. And there’s also the “blue note”, the tone of melancholy, of intimacy; a tone that, from a linguistic point of view, is not so Western due to its going beyond the major/minor dichotomy, due to its “dropping” down an almost-semitone thanks to an harmonious, “non tempered” system. Even a diffused climate of blue notes, well over the expressive “topos”. It’s not a case that Cantieri, with blue, plays with chromatically, picking out different registers. And they are not random, but in accordance with his mood. Significant are some titles given by Cantieri to his paintings: “Teatro vuoto della mente mia”[1], “Esistenza banale”[2], “Tutti quanti abbiamo un’ombra”[3]. It’s plain enough that the portrayed musician is “exploited” almost under the sign of Boccioni’s symbology about “Those who are going” and “Those who are coming”. The futurist artist seems to peep out from the way how Cantieri orchestrates (an effective director of musical scenes, we could say) his encircling and at the same time centrifugal forms. He makes these forms dynamic, sometimes reminding also A.G. Bragaglia. Above all as regards what I would define “the digging period”. Since 2007 Cantieri has not been studying forms any more, as since then he has been dominating them, he has been folding them up to his mood, to his blue note of the moment, but giving the substance, or the structure, of an entity which goes beyond the sense of the contingent. Without betraying the open yard.

 

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